La diagnosi prenatale è l’insieme delle valutazioni e delle indagini che vengono effettuate per conoscere e monitorare lo stato di salute del feto nel corso della gravidanza.
Le indagini di diagnosi prenatale sono analisi strumentali e di laboratorio, con l’obiettivo primario di identificare l’eventuale presenza di patologie o anomalie morfologiche a carico del feto, anche su base genetica.
La diagnosi prenatale fa uso di alcune tecniche di laboratorio per individuare, in particolare, alcune anomalie cromosomiche, alcune malformazioni, e la presenza del genoma di agenti infettivi, come HIV, Toxoplasma, e Citomegalovirus.
Grazie ai test di diagnosi prenatale è possibile soprattutto individuare le tre trisomie più comuni:
- la trisomia 21, ovvero la Sindrome di Down, la più diffusa tra le trisomie con una incidenza di 1 su 700 nati;
- la trisomia 18, ovvero la Sindrome di Edwards, con una incidenza di 1 ogni 5mila nati;
- la trisomia 13, ovvero la Sindrome di Patau, con una incidenza che colpisce 1 ogni 16mila nati.
Tuttavia, per poter diagnosticare queste trisomie, vengono utilizzati test di diagnosi preneatale invasivi ,esponendo quindi mamma e bambino a rischi procedurali.
I principali esami di diagnosi prenatale invasiva si basano su:
La diagnosi prenatale invasiva viene consigliata solo ad alcune donne che rientrano nelle categorie dette “a rischio”, e principalmente:
- In caso di età materna avanzata (sopra i 35 anni);
- In caso di presenza di casi di familiarità o genitore portatore di anomalie;
- Nel caso in cui un esame diagnostico non invasivo, come la Translucenza Nucale, o il Bi-test, o ancora un’ecografia, abbiano individuato la presenza di possibili rischi che vanno valutati in maniera approfondita.
La scelta di sottoporsi ad una delle tecniche di diagnosi prenatale è determinata dal periodo dall’epoca gestazionale, oltre che dalla specifica indicazione del ginecologo a cui la donna dovrà fare riferimento.